Considerazioni sull’oltreuomo

Il senso comune, che tende a ragguagliare il tempo alla grandezza degli eventi, mi suggerisce che l’oltreuomo non sarà ancora Dio, ma un suo lontano progenitore. La nuova decisiva tappa dell’evoluzione, il cui avvento spiegherebbe ogni imperativo vocazionale, non coincide dunque col punto di arrivo del mio schema teologico, tuttavia sembra andare nella direzione prevista.

Per verificare le mie teorie, la tappa dell’ominazione successiva all’homo sapiens dovrebbe presentare sostanziali novità sul piano dell’autocoscienza, perché solo in tal modo sussisterebbe un progresso nella rivelazione del divino a se stesso. D’altra parte un miglioramento nell’autocoscienza non s’intravvede se non in relazione al significato dell’esistenza e alla possibilità di stabilirlo. Si è detto degli ostacoli materiali che intralciano tale ricerca, sottolineando in particolare la brevità della vita e la limitatezza delle fonti conoscitive. Si è detto anche del possibile tentativo della speculazione filosofica di rimuovere gli ostacoli con l’aiuto delle scienze, ma il ragionamento può andare oltre. Se considero la ricerca di significato alla stregua di un bisogno da rimuovere, posso ipotizzare come caratteristica decisiva della nuova specie proprio l’assenza del relativo bisogno. Ma, diversamente, niente vieta di pensare a una specie superumana che presenti come novità genetica non la eliminazione del significato come bisogno, bensì la sua metamorfosi nella triplice direzione della longevità, della conoscenza, della felicità. Nella scala evolutiva non si avrebbe quindi necessariamente un cambiamento fisiognomico, né anatomico, ma psicologico, che segnerebbe il passaggio da un individuo succube della propria autocoscienza a un individuo in grado di padroneggiarla. In un tale contesto la semplice sopravvivenza non sarebbe più vista come propedeutica al reperimento del significato, ma si identificherebbe con esso. In altre parole ogni assillo filosofico, così come modernamente inteso, sarebbe una debolezza o lacuna della specie, che l’evoluzione provvederebbe a rimuovere creando una specie più forte e autonoma. Come nella prassi potrebbe avvenire un simile mutamento e da quali cause potrebbe scaturire è ipotizzabile utilizzando il seguente argomento di stampo hegeliano.

Mi rifaccio appunto a una affermazione hegeliana, riguardante lo smisurato quantitativo, che avrebbe la caratteristica di produrre nei fenomeni sostanziali mutamenti qualitativi. Nel problema in esame i fattori che tendono allo smisurato sono tre: lo spazio-tempo, il numero dei corpi celesti adatti alla vita, e l’incremento della conoscenza di una civiltà tecnologicamente avanzata, cioè in grado, per definizione, di garantire all’assieme delle conoscenze disponibili un andamento sempre crescente. Considerando nella loro dinamica le tre grandezze e tenendo conto delle possibili interrelazioni tra di esse, non posso esimermi dal pensare che i primi due fattori giochino a beneficio del terzo: più corpi celesti prendo in considerazione, più spazio-tempo abbraccio nella mia previsione, più probabilità ho di imbattermi in un sistema, planetario o interplanetario, che detenga un patrimonio di conoscenze incommensurabile. Ammesso che tale patrimonio produca mutamenti qualitativi sulla vita, non vedo in che direzione potrebbe procedere se non nel rafforzamento della vita stessa e ciò non può avvenire se non conferendole maggiore sicurezza e maggiore durata. E’ dunque importante che la filosofia, da sempre troppo antropocentrica e mondocentrica, allarghi la sua visuale a tutte le ipotesi di vita cosmica che la scienza dovesse prospettare come altamente probabili.