Male, bene e senso comune

Nel definire il male il senso comune compie l’errore di attribuire a un concetto astratto una consistenza ontologica, arrivando in molti casi a personificarlo. Quanto al bene sommo, il senso comune lo identifica con spontaneità e immediatezza anche maggiore con un Dio personale, sulla cui natura tende e trasferire ogni ulteriore approfondimento. Le contraddizioni e i pregiudizi che nascono da una simile impostazione hanno la caratteristica di impedire, una volta radicati, l’applicazione di qualunque correttivo e l’apertura di qualunque forma di dialogo. Una diversa impostazione del problema che utilizzi  la categoria (o forma pura) dello spazio, pur rimanendo nell’ambito del senso comune, mette in evidenza minori contraddizioni. Si tratta di immaginare il male, prima ancora di definirlo, come limite negativo del bene o ancora meglio il bene come perimetro del male. L’evidenza del male appare al senso comune superiore a quella del concetto opposto e antagonista; procedendo induttivamente, si riscontra infatti una concordia quasi assoluta nei giudizi sulle azioni negative, mentre i giudizi sulle azioni positive (benefiche), specialmente sui cosiddetti rimedi al male,  generano quasi sempre divisioni e polemiche. Da parte mia trovo quindi ottima la definizione (anche semplicemente strumentale) del bene come privatio mali, specialmente in funzione etica, normativa e legislativa