Sul concetto di bene

Analizzando il concetto di bene-altruismo semplicemente partendo dal senso comune, incominciai a esprimere diffidenza verso ogni forma di carità e di elargizione, che seguisse semplicemente l’impulso generoso. Se era bene ciò che non era male, la regola del neminem laedere, che sta da secoli a fondamento delle istituzioni giuridiche, doveva costituire il fondamento preliminare di un etica compatibile col mio sistema. La retta via del progetto individuale non passava duqnue soltanto attraverso la prova del fuoco dei vizi, ma doveva tener conto dei progetti altrui: male era ciò che poteva nuocere a qualunque progetto individuale, non solo al proprio. Per precisare il concetto era bene distinguere il male fatto ad altri da quello rivolto contro se stesso; mentre quest’ultimo sembra collegato agli eccessi nell’ambito dei vizi, le sue conseguenze, cioè i crimini, sembrano rientrare interamente nel primo. Ad esempio, un eccesso d’ira va valutato sotto un dublice aspetto: da un lato per il nocumento che arreca al percorso-progetto dell’irascibile, dall’altro per i danni diretti e indiretti che procura ai progetti concorrenti. Sembra proprio che, rendendoci consapevoli del male, la mano indivisibile abbia pensato a favorire tra le vocazioni una leale competizione.

Successivamente mi resi conto che l’elenco dei vizi della tradizione cristiana assunto come punto di partenza della mia etica andava completato. Avendo appurato che non si poteva sostenere in modo manicheo l’opposizione dei vizi alle virtù, che si doveva parlare di via mediana e che la collocazione di tale via mediana dipendeva sia dalla vocazione, sia dal carattere dominante, dovevo però tener conto di almeno altre due contrapposizioni che la tradizione cristiana aveva, secondo me, volutamente accantonato: quella fra temerarietà e viltà e quella fra sincerità e falsità.

La virtù del coraggio tipica delle epoche eroiche ha conosciuto momenti di decadenza proprio a partire dal cristianesimo, che ne ha modificato la sostanza: mentre il cavaliere è tenuto a restituire ogni schiaffo successivo a quello della sua investitura, il cristiano deve porgere l’altra guancia. Più recentemente la bontà del coraggio è stata discussa e in genere respinta dall’etica borghese, in quanto contrasta con l’ideale di anonimato e rispettabilità. In modo simile la sincerità e la lealtà, utilissime alle istituzioni di tipo guerriero, si rivelano negative laddove dominano le convenzioni sociali. Con la decadenza delle vecchie regole e l’avvento di nuove, nasce una società più competitiva e meno formale, dove il coraggio favorisce le iniziative e la sincerità snellisce i rapporti: anche in questi casi va cercata e stabilita una via intermedia ottimale.

Due nuovi vincoli alla libertà di comportamento, il richiamo al coraggio e l’esigenza di sincerità, si rivelavano alla mia analisi, ma avevo trascurato un condizionamento ben maggiore, costituito dall’istinto riproduttivo. Dovetti sforzare la memoria per rammentare che negli anni verdi il cosiddetto amore sentimentale non si identificava affatto con la lussuria e nemmeno col desiderio affettivo, ma era strettamente collegato a un progetto: come per la maggior parte dei mei coetanei, l’idealtipo vagheggiato dalla mia fantasia amorosa prometteva e lasciava intravvedere condizioni di vita di coppia adatte a ottenere e condividere successi. Solo più tardi mi resi conto che non si trattava di successi genericamente intesi: con questo espediente (il desiderio sessuale) la natura esigeva non solo che il compito fosse eseguito, ma che fosse riprodotto.