Indagine sullo scopo dell’apparato

L’argomento che ho definito, per comodità, sociologico, mi invita ad approfondire un tema che è indispensabile per sostenere le mie tesi, quello dell’identificazione dello scopo dell’apparato. Usando un paragone automobilistico devo sapere:

  • se c’è qualcuno che guida la macchina o se la macchina viaggia da sola;
  • se chi guida conosce la strada
  • se questa strada porta a un traguardo o a una meta.

Come ho sostenuto in precedenza, se il traguardo non esiste o è inconoscibile, ogni attività è inutile tranne la filosofia, che risulta utile a se stessa come conoscenza, pronunciandosi sulla inesistenza o inconoscibilità di una meta del progresso, per cui mi è ugualmente utile sapere se esiste un guidatore che conduce questa macchina alla cieca.

Se il traguardo invece esiste ed è identificabile, esso deve poter essere riferito a una persona, oppure a un gruppo di persone, oppure a un gruppo di cose. Escudendo in base al senso comune il primo caso, ne restano due. Se il fine dell’apparato è riferibile a un gruppo di persone, esse devono essere concordi su di esso e per ottenere la concordia sul fine da conseguire devono essere organizzate in modo gerarchico. Escludiamo quindi dai possibili fini dell’apparato il mercato, che non ha padroni concordi, stabili e organizzati, ma sempre nuovi personaggi emergenti in concorrenza tra loro. Escludiamo anche il capitalismo, che non sembra configurarsi come assieme di persone, ma come assieme di regole economiche applicate secondo una certa mentalità. Possiamo altresì ipotizzare che un’unica nazione molto potente, come gli Stati Uniti, imponga il suo particolare fine all’apparato, fine che potrebbe consistere nella conservazione illimitata di sè attraverso l’egemonia mondiale. Questa ipotesi spiegherebbe molti fenomeni, ma non il fatto che anche dove gli Stati Uniti non esercitano la loro supremazia, altre nazioni producono ugualmente per l’apparato, nell’intento di stabilire a loro volta una prevalenza, in contrasto e non in conformità di vedute con gli Stati Uniti o con altre potenze.

L’unico gruppo di persone che sembra possedere, a mio avviso, i requisiti per imporre i suoi obiettivi all’intero apparato, è quello delle persone note o v.i..p., un tempo definito jet-set internazionale. Recentemente rafforzata dalla televisione e dalla comunicazione cibernetica, questa collettività presenta la seguenti caratteristiche:

  1. diffusione internazionale;
  2. accettazione di regole formali di comportamento;
  3. volontà di conservare il privilegio della notorietà;
  4. manipolazione sistematica della opinione corrente;
  5. assoggettamento delle volontà deboli e gregarie;
  6. rifiuto di idee sostanzialmente innovative e rivoluzionarie.

Mi sembra che sussistano elementi sufficienti per definire tale gruppo come sistema, almeno nel modo in cui si intendeva tale termine durante la contestazione sessantottina. Molti sostengono che tale gruppo di ottimati narcisisti sia in realtà al servizio di un preciso vertice economico, esistente da lustri, e forse da secoli, che se ne serve per i propri fini. Dato però che le società segrete hanno evidentementemente la caratteristica di rimanere tali, debbo necessariamente fermare la mia analisi a ciò che appare evidente, cioè al trionfo della visibilità. Ritenendo quindi di avere identificato un possibile guidatore della macchina, devo verificare se egli si pone una meta e se tale meta coincide o meno con l’ipotesi su cui è fondata la mia visione: l’apparato lavora per produrre una nuova tappa dell’evoluzione. Il punto 3 rappresenta il fine autentico del sistema v.i.p. , mentre gli altri cinque punti descrivono gli strumenti per ottenerlo. Si può non condividere il criterio di selezione che il sistema adotta, ma non si può negare che la selezione da esso esercitata sui progetti individuali è la più rigorosa, oltre che la più attenta alla vocazione. L’impressione è che nemmeno una stilla di talento vada perduta: chi ha successo brilla di luce propria, chi non ha successo entra a far parte della massa dei subordinati o di quella, ugualmente indispensabile, degli adoratori,. La linea di demarcazione è piuttosto netta e difficilmente è consentito rimanere ai margini: il mondo viene ripartito tra persone e personalità, tra gente comune e gente speciale. Alla classe minoritaria spettano le decisioni effettive, il monopolio dell’opinione e l’ideazione delle iniziative, che danno alla maggioranza l’illusione di avere un peso decisivo.

Se si considerano tutte le altre contrapposizioni possibili in seno alla società, esse appaiono una per una irrilevanti o risolvibili tramite una lotta. Invece il sistema dei v.i.p. trae forza proprio dal fatto di non lasciare mai spazio a un conflitto autentico, presentandosi con la stessa ineluttabilità del destino: chi tenta la scalata all’Olimpo di cartapesta non può farlo minacciando la sua stabilità, ma agendo in conformità alle regole che ne sorreggono le fondamenta.

Nel riconoscimento delle vocazioni il sistema usa ovviamente criteri differenti rispetto all’autocoscienza. L’autocoscienza riconosce la vocazione in base al piacere che genera l’attività prescelta, il sistema tiene conto dei riscontri numerici del successo, ma non in modo inconsapevole: accanto al riconoscimento del pubblico è infatti spesso previsto il premio della critica, che dovrebbe valutare il talento purificandolo da una componente anomala: il talento del successo. Ciò significa che il sistema non gradisce la presenza di un successo esclusivamente popolare, che sente come minaccia al suo potere sul popolo.

In sostanza l’indagine sui meccanismi del cosiddetto star-system fa gioco allla mia proposta filosofica, inserendosi in essa come strumento antropologico idoneo a valorizzare i progetti individuali forti e a rendervi sottoposti i progetti deboli e le loro immense risorse di lavoro. Altre severe selezioni sono operate dal mercato e dagli altri fattori dell’economia, nonché dal processo produttivo. I risultati tendono fortemente a coincidere: chi ha talento ha successo, chi ha successo è premiato in genere anche dal riscontro economico e gode di particolare favore sotto l’aspetto sessuale. Nulla ha tanto successo, quanto il successo! L’equivalenza tra talento, consenso, ricchezza, fascino, dipende dalla conformità ai canoni previsti dal sistema, entro i quali dev’essere incanalata ogni forma di originalità. A uno sguardo attento i tre fattori di selezione appaiono non in concomitanza casuale, ma legati a tre momenti: quello iniziale dell’equiibrio affettivo, quello successivo del benessere economico e quello finale del pubblico consenso, ristretto a pochi.

Se il sistema dei v.i.p. non si preoccupa che di conservare se stesso e le proprie regole, non gli compete, come accennavo in precedenza, di occuparsi degli obiettivi, in quanto esistano, dell’apparato, salvo preoccuparsene in funzione della propria sopravvivenza. Tali scopi vanno dunque riferiti ad altro. Escludendo, per mancanza di prove, l’esistenza di un gruppo egemone occulto che stia dietro il gruppo egemone visibile, nulla mi vieta di attribuire l’individuazione dei fini dell’apparato a un’entità astratta, una sorta di coscienza collettiva simile allo spirito del capitalismo teorizzato da Max Weber, qualcosa che si manifesti all’interno delle coscienze condizionandole in funzione delle nuove tappe evolutivr, ma che sussista anche al di sopra di esse: qualcosa per metà pensiero e per metà Dio. Rifacendomi per coerenza all’ipotesi teologica che ho ritenuto preferibile, non ho bisogno di applicare un simile concetto alle mie teorie, bastandomi affermare che le tappe dell’evoluzione sono già presenti non solo nella natura umana, ossia nel patrimonio cromosomico, ma nei meccanismi che regolano il cosmo. Dunque, rifacendomi di nuovo al mio paragone automobilistico, non occorre che al guidatore (la classe dominante) venga rivelata la destinazione, basta che conosca la strada da percorrere.

Le ipotesi esposte mi sembrano adatte a spiegare il mondo contemporaneo, ma non posso trascurare nemmeno una diversa presunzione, che cioè i fini dell’apparato siano stabiliti da cose concrete, verosimilmente quelle presenti nell’apparato stesso. Affermare questa possibilità significherebbe sostenere che i risultati della tecnologia sono e diventano sempre più forti della loro matrice.

Traendo spunto dal pensiero di G nther Anders non è mi difficile sintetizzare l’evoluzione storica del rapporto tra uomo e cose. Nella preistoria l’oggetto appare come strumento a disposizione del progetto umano, sul quale però influisce a sua volta, realizzando una sorta di circolarità. Infatti, aumentando col proprio uso certe abilità, l’oggetto modifica alcuni aspetti somatici e psicologici della nostra specie. L’uso del ferro implica già agli albori della storia una grande discriminazione, instaurando il predominio dei popoli che lo possiedono. La tappa successiva è quella della divisione del lavoro, in cui il lavoratore perde di vista il risultato del suo operare: l’artigiano rimane possessore degli strumenti, ma l’opera eseguita ha un nuovo padrone: il mercato. La tappa seguente è l’industrializzazione: il lavoro diventa sovrabbondante rispetto alle esigenze delle macchine: la macchina incomincia ad asservire una classe sociale, che supera per importanza. Il passo successivo è la produzione di macchine da utilizzare per produrre altre macchine: si forma una circolarità per cui anche il pensiero di una vita senza macchine diviene impossibile. L’asservimento si estende anche ai proprietari dei mezzi di produzione, che devono sacrificare i loro fini particolari alle esigenze dell’apparato. Il passo successivo è la produzione di macchine finalizzate alla produzione di nuovi bisogni con cui si tenta di modificare la coscienza in modo surrettizio: l’azione sulle volontà deboli da parte dell’apparato non è più palese, ma occulta. Il nuovo cambiamento decisivo potrebbe essere dato dall’introduzione di macchine, che non lavorino più per la sussistenza dell’uomo, ma delle macchine stesse, chiudendo un ciclo iniziato con l’uso della prima pietra da parte degli antropoidi. Di fronte al verificarsi di tale situazione limite, che alcuni già ritengono in atto, propongo i seguenti possibili scenari:

  1. Distruzione totale. La situazione presente, pur di origine accidentale, andrebbe in qualche modo ascritta all’imprudenza dell’uomo. La sua presa di coscienza arriverebbe tardi, quando la tendenza sarebbe ormai irreversibile. Le macchine distruggerebbero prima l’umanità e poi se stesse.
  2. Sconfitta delle macchine.L’uomo prenderebbe coscienza del problema in tempo per intervenire. Le macchine verrebbero nuovamente asservite a destini umani scelti indipendentemente da esse.
  3. Vittoria delle macchine. Il perfezionamento delle macchine potrebbe comportare la sparizione dell’uomo qualora questi diventasse inutile o, a maggior ragione, si rivelasse un ostacolo per il funzionamento ottimale dell’apparato. Questo potrebbe accadere quando ogni meccanismo, funzionando già in modo perfetto, essendo cioè in grado di correggere i propri errori, non richiedesse più alcuna forma di intervento umano.
  4. Influsso extratterestre. Il predominio delle macchine sarebbe dovuto all’influsso di intelligenze superiori viventi nel cosmo. Con l’introduzione di macchine antropomorfiche più efficienti di lui, l’uomo diventerebbe prima subordinato alle macchine e poi superfluo al progetto cosmico. Escludendo dunque la sua permanenza in stato di schiavitù, non si potrebbe che ipotizzare la sua distruzione e la sopravvivenza delle sole macchine, controllate dagli extraterrestri, a governo del pianeta.
  5. Umanizzazione delle macchine. Le macchine acquisterebbero, tramite la tecnologia (informatica, bioinformatica, etc.), la facoltà dell’autocoscienza. In tal modo, che si possano o meno considerare alla stregua di specie viventi, si presenterebbero legittimamente come eredi dell’homo sapiens nell’egemonia sul pianeta.

Pur non escludendo altri possibili sviluppi di questo tema, non riesco a delineare previsioni, accadimenti o esiti futuri, in cui la fantasia non si allontani a briglia sciolta dal senso comune, oppure non rientri nell’ambito delle cinque possibilità considerate. Sottoponendole quindi ad analisi critica, sono costretto ad abbandonare la 1. perché, assumendo una involuzione irreversibile, appare in contrasto con la mia opzione teologica (panteistica) .

La possibilità 2 appare invece perfettamente in sintonia con tale mia scelta.

La ipotesi 3 sembra, per lo stesso motivo della 1, chiaramente in contrasto con la mia concezione di Dio.

La ipotesi 4 non appare in contraddizione col panteismo, ma presenta varie incongruenze sul motivo per cui l’evoluzione dovrebbe asservire l’umanità tramite le macchine. L’essere intelligente extraterrestre, se esistesse e se fosse tale da interferire nella storia umana, dimostrerebbe per ciò stesso di possedere un tale livello tecnologico da costruire le macchine da sé sul nostro pianeta, senza alcun bisogno della mediazione umana. Inoltre, se l’evoluzione è progresso nella coscienza che Dio ha di se stesso, non si capisce perché una specie autocosciente avrebbe interesse a far prevalere sull’umanità una popolazione meccanica, la quale non sarebbe mai autocosciente, salvo ricadere nell’ipotesi 5.

In quest’ultima, però, emerge la necessità, al fine di produrre l’autocoscienza, dell’iniziativa e del consenso umano. Infatti l’intelligenza artificiale di cui le macchine dispongono attualmente è insufficiente allo scopo e anche il suo sviluppo infinito non è previsto per incanalarsi in quella direzione. Dunque il progetto di una macchina autocosciente non nascerebbe spontaneamente dalle degenerazioni dell’informatica, ma dovrebbe scaturire da un particolare nuovo interesse. Non si immagina davvero un interesse della nostra specie a crearsi una situazione di convivenza così pericolosa, se non nel timore della sua distruzione imminente, per calamità naturale o per collisione astrale; ma anche in tal caso la tecnologia si concentrebbe sul rimedio da trovare, piuttosto che sul reperimento di un erede da umanizzare e eternizzare.

Scartate dunque tutte ipotesi diverse dalla 2., che fra l’altro sembra la più amica del senso comune e più nemica della disumanizzazione, prendo atto che la visione ottimista del futuro appare sorretta da migliori argomenti rispetto a quella pessimista. Indizi e i segni premonitori sembrano arrivare anche dal mondo pratico, dove alla sempre più diffusa preoccupazione per il predominio della tecnica si accompagna il tentativo di rilancio di tutti i valori umani ed umanistici.

In tal modo viene dunque dimostrato che lo scopo effettivo dell’apparato non può essere stabilito dalle cose, ma verosimilmente da una pluralità di persone.