Sul libero arbitrio

La riproduzione mi appariva strumentale alla vocazione, ma non riuscivo a distinguere la rispettiva interdipendenza. Elementi decisivi in questo senso mi provennero da considerazioni relative ai problemi familiari: in base alla mia situazione interpretavo la famiglia di provenienza (imposta dalla necessità) come fonte di ostacoli alla vocazione e la famiglia da me costituita (in base a deliberazione e scelta) come funzionale al mio progetto. Allargando lo sguardo alla crisi della famiglia come istituzione, notavo ovunque il prevalere del lavoro sulla vita sentimentale: un mutamento storico notevole rispetto a civiltà e tempi antichi, dove ogni valutazione sull’uomo non sussisteva al di fuori della sua appartenenza familiare e tribale. Pur permanendo intatta l’esigenza di equilibrio affettivo, i tempi sembravano segnare una tendenza all’affrancamento del progetto riproduttivo da quello vocazionale. Da interpretare in tale senso era anche il maggior permanere in seno alla famiglia dei figli adulti, i quali, diversamente che nel passato, cercavano modelli di comportamento e stabilivano gerarchie di valori al di fuori di essa.

Nell’esposizione abbandonerò ora il tempo imperfetto e con esso il racconto della mia formazione per il presente, trattando delle mie convinzioni attuali. Essendo venuta meno la loro autorità, i genitori si identificano con gli amici e ne soffrono necessariamente la concorrenza; laddove la vocazione è contrastata, il vincolo familiare è vissuto come oppressivo, laddove è favorita, il legame familiare può risultare superfluo. Neanche la costituzione di nuove famiglie sembra garantita da basi solide. Particolarmente consapevoli della nuova supremazia del lavoro appaiono le donne, che da tempo identificano l’emancipazione con la professione e cercano di garantirsi uno spazio di identità che non coincida con il ruolo di mogli e di madri. Il perdurare dell’isituzione tradizionale sembra dovuto prevalentemente alla mancanza di validi modelli alternativi; figure come il padre autoritario e la moglie comprensiva vanno scomparendo, assieme ad ogni forma di privilegio e quindi di incentivo: il lavoro, affrancato da ogni altra responsabilità, offre ai giovani prospettive molto più stimolanti della vita matrimoniale.

Per giustificare ulteriori interpretazioni delle tendenze contemporanee, ho sviluppato una ipotesi determinista, cercando di sostenerla in modo argomentato. Premessa la definizione di volontà come attività caratterizzata dalla possibilità effettiva di dare una direzione piuttosto che un’altra alle azioni (principio attivo), essa viene da me respinta nel significato che ha presso il senso comune mediante le seguenti affermazioni:

  1. io, soggetto, avendo deciso in un un modo, avrei potuto decidere diversamente solo in condizioni psichiche e ambientali differenti.
  2. Essendo la totalità dei soggetti sottoposta alla stessa legge, nego che chiunque di essi avrebbe potuto modificare le condizioni ambientali che hanno determinato le rispettive azioni.
  3. In nessun modo l’insieme delle mie azioni e qualunque altra azione o destino avrebbe potuto essere diverso da quello che è che è stato.

A sostegno della mia tesi porto una serie di esempi e ragionamenti, che mettono in dubbio l’esistenza del libero arbitrio, inducendo a credere che tutti i fatti sono prestabiliti e non modificabili.

  1. Il primo argomento è di tipo empirico e costituisce un semplice indizio. La convinzione che la volontà non sia movente degli eventi, pur convenzionalmente riferibili a un soggetto, è nata in me dalla considerazione della sua debolezza. Dagli esempi quotidiani emerge che spesso essa non riesce nemmeno a contrastare il più banale degli appetiti, come il vizio del fumo. Considerandola all’inizio come forza agente, alla luce dell’esperienza ho finito per declassare il concetto a semplice impressione psichica.
  2. Il secondo argomento è dato dalla complessità di riferire la deliberazione e l’azione che ne consegue a un soggetto unitario. Se ciò è indubbiamente possibile dal punto di vista legale, attraverso le norme giuridiche e le convenzioni, non mi pare altrettanto facile attribuire il requisito dell’unità a individui come quelli umani, mai uguali a se stessi nel tempo e dotati di una vita psichica che, in qualsiasi modo la si analizzi, evidenzia ripartizioni e lacerazioni. E’ l’anima razionale a decidere, o prevalgono le passioni, o alla fine la spunta l’intelletto? Se distinguo gli eventi rilevanti da quelli banali, mi sembra di doverne attribuire la causa, posto che esista, ora all’una ora all’altra funzione dell’anima. Se invece pongo tutte le azioni sullo stesso piano, ho la sensazione di attribuirne la responsabilità a una pluralità in conflitto permanente. Se invece ipotizzo che il (cosiddetto) singolo individuo segua, pur attraverso dubbi, esitazioni e incertezze, un percorso obbligatorio già tracciato, l’esigenza di ricondurre la psiche ad unità viene meno.
  3. Argomento ontologico. Ammettendo che ogni azione avvenga dopo una scelta tra azioni possibili, devo ipotizzare un secondo piano di esistenza, quello delle possibilità scartate, perché, se non lo ammettessi, esse sembrerebbero appartenere alla sfera del non essere. Collocando sifatto piano esistenziale nell’universo dei fenomeni immaginari, non posso escludere che in un certo modo le scelte scartate siano causa delle scelte effettive, non essendo certo che possano esistere le une senza le altre e apparendo vero il contrario. Quindi, secondo questa impostazione, vengo ad affermare che l’immaginario genera la realtà, e incontro difficoltà a motivo della loro natura, che il senso comune, a differenza forse della psicanalisi, ritiene incompatibile. Se seguo invece la tesi che la scelta individuale è solo apparente, posso lasciare l’immaginario nella sfera psichica che gli compete.
  4. Argomento metafisico. Cercando di coglierne la totalità dell’essere sotto un unico sguardo, rilevo come del Tutto non possano non far parte gli eventi della vita, collocati nello spazio-tempo. Secondo una tale visione gli eventi appaiono come una serie o sequenza, concatenata in modo tale che non sembra possibile reperire un’unica causa. Se allora ammetto che ogni evento è in un certo modo concausa dell’altro, devo per forza risalire a una causa prima trascendente, che non abbia concause, oppure negare il principio di causalità.
  5. Argomento tratto dalla fisica. Se riduco la realtà a configurazioni atomiche nello spazio tempo, ottengo i risultati più vantaggiosi sul piano del calcolo, ossia spiego il maggior numero di fenomeni, con l’ipotesi che ogni situazione istantanea sia determinata dalla situazione precedente. In tal caso non può essere la volontà umana a determinare alcunchè perché non può né identificarsi con la configurazione atomica precedente, né chiaramente distinguersi all’interno di essa per proporsi come causa alternativa. Dunque il rapporto di causalità definito libero non è necessario per spiegare i fenomeni di cui detta scienza si occupa.
  6. Argomento panteista. Se dio, come comunemente si pensa, è coerente nel perseguire i suoi fini, e se il tutto è dio, allora nel cosmo deve esistere un’unica volontà effettiva, cioè idonea a determinare gli eventi. Infatti se esistessero più volontà effettive esse sarebbero o in contrasto o in conformità con quella di Dio e in entrambi i casi ne evidenzierebbero la non onnipotenza. Dunque, se il Tutto è Dio, e se Dio è onnipotente, la volontà umana non può mutare il corso degli eventi ( perché non è una volontà effettiva).
  7. Argomento metaforico (per similitudini). Se paragono l’uomo a una pietra non trovo apparentemente nessuna somiglianza, ma se paragono la pietra a un uomo che cade da un’altura allora le somiglianze sono molte. Se invece paragono l’uomo ad una macchina, le somiglianze mi sembrano tanto maggiori quanto più la macchina è complessa. A un livello per ipotesi elevato di complessità tecnologica, immagino una macchina dotata di autonomia decisionale allo stesso modo dell’uomo. In questo caso mi chiedo se la macchina potrebbe svolgere funzioni che non siano previste e non dipendano dai meccanismi e dai programmi che contiene: la risposta è spontaneamente negativa e tale negatività si estende all’uomo, che appare del tutto simile ad essa. Quindi posso sempre pensare, anche ai livelli massimi di tecnologia, all’emergere di qualcosa di meccanico, che riconduca sia l’uomo che la macchina pensante alla pietra. L’uomo, se decide, decide così come la pietra cade; il resto è illusione.
  8. Argomento agostiniano. Nel senso comune si rappresenta la volontà come una forza, per cui dovrei poterne graduare l’intensità e stabilire la direzione. Per ammettere questo occorre però individuare una causa o movente che sta a monte della volontà, ossia la volontà della volontà. E così all’infinito.
  9. Argomento tratto dal linguaggio. Siamo soliti chiamare certi movimenti istintivi del corpo indifferentemente inconsci o involontari. In tal modo la volontà rivela attraverso il linguaggio la sua vera natura di facoltà non solo appetitiva, ma anche precognitiva. Pur vivendo nell’impressione di determinare gli eventi, l’individuo si limita ad intuirne spesso in anticipo il corso segnato.
  10. Argomento consuntivo. In molti degli argomenti elecati si distingue o affiora sempre qualcosa di diverso e superiore alla volontà che si impone come causa apparente di essa, in modo tale che l’intenzione individuale viene ridotta a puro strumento di una facoltà decisionale situata al di fuori del soggetto. Se affermo, ad esempio, che la decisione cambierebbe se fosse diverso il cervello, sottraggo il libero arbitrio alla volontà per attribuirlo a una sua supposta sede, il cervello, qualcosa che potrebbe esistere teoricamente anche senza volontà, mentre non appare vero il contrario. Se nego dunque all’uomo ogni responsabilità circa la conformazione del suo cervello, nego anche ogni concetto di volontà-responsabilità che non sia puramente legale-convenzionale.

Alla fine dei ragionamenti il campo di azione di ciò che si intende per libera scelta mi appare ridotto alla possibilità che cambino la condizioni di fatto, possibilità che viene esclusa al .2 ; un possibile campo di azione della volontà non viene concettualmente negato, ma per essere efficace richiederebbe l’intervento di un’entità trascendente. Non ho interesse a negare o affermare la valenza del concetto di causa, che, ritengo, possa sussistere anche in assenza di libero arbitrio.

Il libero arbitrio si concretizza alla fine nella possibilità di essere diversi da se stessi, possibilità che viene negata da Plotino in riferimento all’Uno, il quale, se fosse diverso da se stesso, subirebbe una limitazione e sarebbe quindi meno libero. Se seguo questa impostazione e assumo contemporaneamente l’ipotesi teologica D (panteista) sono costretto a trasferire il concetto da Dio all’intero universo, che definisco allora perfettamente libero proprio perché non può essere diverso da se stesso.

Anche sotto altri aspetti l’ipotesi D mi appare più attraente delle altre in quanto meno esposta a critiche. Più precisamente:

  • l’ipotesi A (materialista) assume il passaggio dal caos al pefetto ordine senza alcuna mediazione immanente o trascendente; il che induce a negare che il caos sia tale oppure ad affermare che l’ordine è caotico; inoltre una volta creato Dio resta difficile asserire che non sia stato Dio a volere se stesso;
  • l’ipotesi B (sovversiva), forse la più originale, costringe a parlare dell’esistenza di un entità collocata al di fuori dell’esistenza. Infatti collocandola semplicemente in un altro universo esistente non risolverei la contraddizione;
  • l’ipotesi C (mistica) altro non è che una diversa esposizione secondo una diversa modalità dell’ipotesi D, che tende