Cristianesimo e compromessi

A una più approfondita analisi le contraddizioni del cristianesimo si rivelano entrambe come apparenti e vengono, almeno all’interno del cristianesimo stesso, perfettamente risolte. Infatti il cristiano pensa che né il peccato, né l’indigenza possano mai essere sconfitti e debellati in questo mondo degli uomini e fa di due elementi, che considera permanenti, la base per la propria affermazione ed espansione nella storia. Solo la scarsa fiducia in queste due condizioni fondanti e l’eccesso di preoccupazione per la sopravvivenza delle proprie istituzioni ha permesso a componenti estranee, come il potere, la politica, la filosofia e il senso comune di insinuarsi nelle sue strutture. Ciò ha introdotto un primo elemento di debolezza, dato dalla pretesa di accettare e divulgare la propria dottrina, che per natura è unitaria, monolitica e inscindibile, solo in parte e per certi aspetti. Tale strategia ha dato a volte libero campo all’interpretazione, cioè al seme secolarizzante del relativismo. Il secondo elemento di debolezza, in un fenomeno indistruttibile e teoricamente capace di risorgere dalle proprie ceneri (purchè povertà e peccato continuino a sussistere) è dato dalla convinzione di dover possedere strutture permanenti, le quali, affacciandosi sul mondo secolarizzato, sono obbligate ad arrivare a compromessi vari, Tali compromessi non solo danno vita a forme di pericolosa debolezza, come l’affarismo in campo ecclesiasitco, ma altresì generano forme piuttosto devianti di ibridazione. Per convincersi di ciò, basti pensare che è ormai rarissimo rintracciare individualmente trovare lo spirito cristiano allo stato puro. Cioè, ad esempio, totalmente disgiunto dalla rispettabilità borghese, o da un sano edonismo o dalle varie forme di  pauperismo populista.