Determinismo e determinazione

La stessa civiltà, che afferma quisque faber fortunae suae, suggerisce carpe diem. La contraddizione tra le due risapute e abusate massime non è assoluta. Infatti nella prima sembra prevalere l’aspetto consuntivo di un passato senza possibilità di appello e di attenuanti, la seconda sottolinea l’aspetto del presente in relazione di un futuro assolutamente privo di garanzie. Tuttavia non si può negare che le due sentenze, che sotto l’aspetto del buon senso e in qualità di buoni consigli sembrano poter coesistere, sottendano atteggiamenti opposti di fronte al destino, visto nel primo caso come direttamente influenzabile dall’azione umana, nel secondo caso come catena di eventi che l’individuo più o meno passivamente è condannato a subire e nell’intreccio dei quali la cosiddetta volontà sembra contare solo per l’aspetto soggettivo di un edonismo consolatorio.

Noi che crediamo (in quanto persuasi da ottimi argomenti) in un destino già scritto non abbiamo difficoltà a riconoscere che esistano vite, che emergono prepotentemente dalla storia ed altre più o meno anonime che si consolano con l’aurea mediocritas del quotidiano, essendo già scritta, beninteso, la grandezza delle une, quanto la mediocrità delle altre. Il destino, cioè, impone che qualcuno – non tutti – sia fabbro non di se stesso, ma di lui medesimo.