Essere 1

Il senso comune attribuisce all’apparire un valore morale inferiore rispetto all’essere: così sarebbe più importante essere, che apparire buono. Un altro pregiudizio afferma una superiorità dell’apparenza, ma riservata a chi ricerca il consenso degli uomini.  Il secondo pregiudizio non smentisce il primo, ma lo conferma alla luce di un opinione negativa: il giudizio degli uomini si ferma alla superficie, dunque l’oggetto del loro giudizio è ciò che vien mostrato loro. In entrambi i casi si dà per scontato che tra essere e apparire vi sia una differenza ben demarcata, scontata, acquisita, sulla quale si possano fondare ragionamenti. Alla luce della riflessione, tale differenza non compare. Basti pensare a un significato di essere completamente svincolato dall’apparire. La stessa coscienza altro non è che un apparire a sè nell’immediato, né diversamente si può definire. Un essere separato dall’apparire, va concepito al di là non solo della sensibilità nostra, ma di ogni forma di percezione concepibile al di là dei cinque sensi, già di per sé difficile da immaginare. Anche le forme più astratte di esistenza, come i concetti matematici hanno bisogno di metafore visive per essere elaborati dall’intelletto; le stesse formule hanno bisogno di simboli, cioè di sintesi collegate all’apparenza. Diremo dunque che l’essere non può fare a meno dell’apparire, o che sono la stessa cosa? Una definizione di essere come ciò che sta al di là dell’apparire, accettata piuttosto comunemente, nega assolutamente la coincidenza tra i due concetti, ma sposta il problema tra l’apparire e lo stare. Ciò che sta al di là dell’apparire è ciò che appare al di là dell’apparire. Vale a dire: ciò che non appare ai nostri sensi, ma appare ( è noto, è percepito) ad altre coscienze. Parrebbe dunque l’essere una forma più oscura o più estreanea all’uomo dell’apparire e non viceversa. Man mano si allontana e cerca di distinguersi dall’apparire, il verbo essere sembra svuotarsi di significato e identificarsi col non essere. Ben più consistente e perciò sempre attuale appare alla riflessione il rapporto dialettico tra l’apparire a sé e l’apparire ad altri, ritenendo il senso comune che il confine tra il sé e gli altri sia almeno demarcato ed evidente quanto i relativi concetti. Alcune felici e fortunate metafore tratte dalla storia della filosofia sembrano dare pienezza di contenuto all’essere, rispetto all’apparire, ma ma postulano tutte una subordinazione di quest’ultimo come luce gettata sull’essere, cioè su un concetto che in nessun modo convincente si distingue dall’apparire stesso. Anche affermare l’eternità degli eventi piuttosto che dell’essere, non spiega in che modo concepire  tali eventi se non come ciò che, essendo eterno, appare e scompare nella cerchia dell’apparire.